Footloose (2017)
di TeatrInGestAzione
itinerario pedagogico, cura della visione
Gesualdi | Trono
Performance in esclusiva per Trasparenze Festival Modena
Esito del laboratorio con i richiedenti asilo del progetto “Mare Nostrum”
Documentazione
– Foto a cura di Elisabetta Del Giudice
– Video di Raffaele Manco – Voice over di Vittorio Continelli tratto dalla sua opera “Discorso sul Mito”.
Il progetto è nato in occasione di Trasparenze Festival 2017, chiamati a preparare una performance con il gruppo Marewa, migranti richiedenti asilo del progetto “Mare Nostrum”.
La chiamata di Trasparenze è arrivata proprio mentre seguivamo a distanza gli sviluppi e le sorti di “Civil march for Aleppo”, Una marcia civile per la pace da Berlino ad Aleppo lungo la “rotta dei rifugiati” in direzione opposta. Iniziativa autonoma nata da persone che non rappresentano alcuna organizzazione o partito politico, semplicemente cittadini che insieme hanno deciso di lanciare un appello all’azione e di agire piuttosto che di aspettare.
Un’immagine chiara allora ci è apparsa mentre ci preparavamo ad incontrare il gruppo Marewa: un muro in movimento, incorporato, innestato nei piedi, trascinato da corpi che marciando segnano e disfano nuovi confini. Una marcia che di fatto vuole annullare il senso di separazione, di negazione, di limitazione che porta con sé l’immagine del muro.
Il muro nell’immaginario collettivo è radicato al suolo, immobile, invalicabile, da abbattere, aggirare, o superare, esteso in lunghezza e in altezza, oltre, imponente. La sua immagine ci restituisce immediatamente un peso, lo stesso di una materia inamovibile, come certe posizione ottuse costruite sulle paure subdole del nostro secolo.
Il lavoro che abbiamo intrapreso è stato dunque teso a trasformare il muro in materiale vivo e mutevole, in corpo danzante. I corpi degli esuli vestono mattoni, che si fondono con la memoria del loro viaggio. Attraversano la città in parata, muti, accompagnati dal tintinnio dei mattoni trascinati, che a tratti ricorda cavalli e catene, evocando quel Nuovo Mondo che fece schiavi gli africani. I volti sono ricoperti di farfalle sgargianti, posate leggere tra il sudore, i solchi della pelle e le smorfie della fatica. L’approdo è in piazza, sotto il sole di mezzogiorno, dove i corpi si preparano all’ultima traversata. Si danza sulle macerie.
Footloose è una performance rituale, un percorso catartico. Gli spettatori che accompagnano la marcia concorrono alla costruzione dell’immagine di una folla che attraversa muta la città. Lo spettatore dopo aver camminato, fa esperienza del corpo che desidera essere l’altro che danza. E quest’altro è lo straniero di cui si ha paura.
Footloose è una parola-immagine-movimento. Una miccia scatenante. Risuona fragorosa tra le vie del corso cittadino, si fa strada tra gli abiti della domenica, svicola ed esplode. È un’azione poietica che invita a mettersi in cammino, a sconfinare, a rischiare, perché in nessun luogo siamo al sicuro, perché siamo noi la mina che vaga, il muro che crolla, la fuga, il mare aperto in tempesta, la lingua straniera, la terra, la terra! Terra di passaggio, perchè non c’è più casa a cui tornare, ma un’umanità nuova da fondare al grido di “let’s dance!”.
Il titolo è mutuato dal film musicale “Footlose” che racconta il tentativo di integrazione di un giovanissimo ragazzo di Chicago, trasferitosi in un paesino di provincia. A Beaumont Ren è visto come una minaccia, sarà invece artefice di una rivoluzione.
Questo “filmettino americano” anni ’80, ha animato la nostra adolescenza di ragazzi di provincia. ci ha lasciato il sottofondo discreto di un desiderio di riscatto, e una colonna sonora che ha ancora la forza di scatenare una rivoluzione danzante. Nonostante la trama giovanile che scorre leggera, emergono immagini forti: roghi di libri messi al bando, comitati cittadini che si improvvisano giustizieri fai da tè, assemblee cittadine votate alla “salute pubblica”.
La pellicola ci riporta all’attuale condizione che i migranti vivono nelle nostre città. Le accuse che i “borghesi piccoli piccoli” di Beaumont muovono verso il giovane straniero, pericoloso corruttore di costumi, attentatore della pace cittadina, potenziale criminale, non sono poi così lontane dalle lapidarie sentenze che alimentano i nostri “Pogrom 3.0”. Gli esuli migranti sono percepiti come invasori, usurpatori, barbari, pericolosi, violenti, animali selvaggi, indomiti, votati chissà a quale diavolo.
Accecati dalla paura, nutriti dal veleno mediatico, abbiamo scelto il nostro nemico, causa di tutti i mali e ci siamo votati alla sua soppressione.
Con il nostro Footloose abbiamo immaginato di poter sprigionare un’energia capace di rivoltare il corpo e il pensiero, generando una forza magnetica sconosciuta, capace di ricongiungere i corpi in un incontro nuovo votato al desiderio e non più alla paura.
Alla vigilia dell’incontro con il gruppo Marewa, i piedi sciolti hanno iniziato a scalpitare.